Serata dedicata alla (e) statue di Giulio cesare presenti in città, la loro provenienza, la loro dislocazione e le tante incertezze che hanno portato all'attuale dibattito su quali siano più 'vere' e dove vadano posizionate per la loro valorizzazione
Qui di seguito un esauriente articolo scritto da 'Gibo' Bonizzato per Chiamami Città
LE DUE SEPOLTURE DI CAIO GIULIO CESARE A RIMINI
La
prima sepoltura (dove si sapeva) ebbe luogo nel giugno 1945,
quando i Vigili del Fuoco (che allora erano anche impiegati dell’acquedotto)
trasportarono il monumento da Piazza Tre Martiri a un Capannone dell’Acquedotto
di Via Dario Campana, privo di pavimentazione, dove il condottiero venne
"interrato" accanto ai tubi rimanendo ivi custodito sino alla primavera del 1951.
La
seconda (dove non si doveva sapere) si
verificò nel corso di un "buco nero" temporale di circa due anni (dalla
primavera del 1951 all’estate del 1953) allorché il bronzo, sottratto al
controllo dei Vigili, venne sotterrato da ignoti nel
greto paludoso del Marecchia, tra i residuati bellici, per poi esser
ritrovato, per puro caso, nel giugno 1953 da
un giovane sergente del 121° artiglieri. La verità circa la sottrazione e
rinvenimento si palesò, come si vedrà, soltanto dopo quarant’anni. E
altrettanto casualmente.
Cominciamo
col dire che l’errore in cui ebbero a incorrere gli storici locali, unanimi
nell’accreditare la versione del disseppellimento della statua ordinato dal
Comune con contestuale affidamento della stessa agli Artiglieri, prende le
mosse da un alato articolo di Luigi Pasquini,
apparso sul Resto del Carlino del 5 ottobre 1953,
nel quale l’opinionista Principe di allora, dopo aver rievocato da par suo il
salvataggio del "Divo Giulio" su un carro trainato da due cavalli operato dai
bravi Pompieri per sottrarre il dono del Duce alle rappresaglie del dopoguerra,
affermava che la statua era "attualmente sistemata
‘nell’area dell’acquedotto comunale sottoterra presso il letto del Marecchia
ove dorme da anni". E che "corre voce che i Vigili del
Fuoco abbiano ricevuto l’ordine di dissotterrarla e ripulirla", in
attesa di adeguata collocazione. Pasquini (e con lui tutti i Riminesi) non era
dunque al corrente di quanto si era effettivamente verificato. Quando uscì il
suo articolo, infatti, la statua era stata già
casualmente rinvenuta da ben quattro mesi (giugno 1953) e
trasportata in pari data presso la Caserma del 121° Artiglieri di Via Flaminia
su autorizzazione verbale di un funzionario del
Comune. Ciò senza che negli archivi comunali risulti alcuna successiva delibera della Giunta in tal senso.
Il
pezzo di Pasquini con i bravi vigili che custodiscono Giulio Cesare sepolto in
attesa dell’ordine dell’Autorità di dissotterrarlo, fu dunque richiamato quale
autorevole e unica fonte sia in "Rimini degli ultimi due
secoli" di Nevio Matteini (1977,
pag.661) che ne "La divina effige" (1995,
pag.42-44) di Manlio Masini.
E
veniamo alla casuale scoperta di una verità sino a quel momento accuratamente
celata. In data 6 maggio 1992 il
Resto del Carlino pubblica un mio articolo dal titolo "Ridateci la Statua di Cesare" nel quale cito, a
sostegno della richiesta avanzata da un Comitato di Cittadini all’uopo
costituitosi, il "Nulla Osta" del Ministero della Difesa alla
restituzione del Monumento da parte degli Artiglieri che a tale restituzione si
erano sempre opposti considerandosi beneficiari di una sorta di "donazione" da
parte del Comune.
Si
trattava di un documento decisivo, sino a quel
momento inspiegabilmente ignorato dall’opinione pubblica, che avevo rinvenuto
nel "dossier" di Umberto Bartolani, fattomi
pervenire dopo la morte di quest’ultimo, dal Notaio Francesco Maria Pelliccioni, Presidente del
suddetto Comitato. Osservo, per inciso, che il Nulla Osta era pervenuto al
Commendatore, anima e cuore pulsante dell’Associazione, proprio in concomitanza
col suo decesso, il che spiegava il perché della mancata diffusione.
Ma
non è questo il punto. Il fatto è che, nel breve escursus storico col quale
illustravo il mio pezzo, ero, ovviamente, caduto anch’io nella "trappola"
dell’articolo di Pasquini. E dunque avevo fornito a mia volta pari pari, la
versione accreditata. Il che provocò una duplice e storicamente
salutare reazione.
"Macchè
disseppellimento e affidamento ufficiale!", dichiarò
infatti, in sintesi, il Maresciallo in pensione Giuseppe Grana il giorno successivo, recandosi in
redazione, al giornalista Giovanni Zangoli del
Carlino. "La statua la trovai io, per caso,quando ero un giovane sergente,
alla fine del mese di giugno del 1953, sepolta ottanta centimetri sotto il
piano di campagna in mezzo a ben sette ordigni bellici che richiesero
l’intervento degli artificieri, anche per quanto riguarda la testa della
statua, scambiata inizialmente per una bomba! Ero stato mandato lì a prelevare
ghiaia dal Colonnello Veneziani per riempire una buca che si era formata nella
caserma della Via Flaminia…Dopo il rinvenimento della statua chiamai il
Colonnello il quale a sua volta si rivolse all’Amministrazione Comunale.
Intervenne sul posto in bicicletta un tizio alto, sui sessant’anni, il quale
gridò:- Accidenti! L’avete ritrovata! Adesso fatene quel che volete! Portatela
via, oppure fondetela, distruggetela ma levatecela di torno una volta per
tutte!
E noi ce la siamo portata in Caserma!"
La
seconda reazione (sia al mio articolo che alle
dichiarazioni del Grana) apparve sul
Resto del Carlino dell’8.05.92 ad opera del Perito Industriale Andrea Degli Innocenti, figlio di uno dei pompieri che
avevano salvato la statua, il quale affermò che la versione del seppellimento e
del ritrovamento nel greto del Marecchia della statua gli appariva davvero
incredibile dal momento che "i lungimiranti Vigili del
Fuoco ma non dimentichiamolo anche dipendenti dell’Acquedotto, sotterrarono la
statua sotto la sabbia all’interno di uno dei tre capannoni dell’acquedotto
Comunale. Essi avevano approfondito il livello della fossa (la "Busa di tub"
nel gergo corrente di servizio) dove a quel tempo si tenevano stoccati i tubi
che, per ragione di spazio venivano tenuti in verticale, divisi in fasci
secondo il loro diametro. La profondità della Fossa sopperiva all’esigua
altezza della capriata di sostegno del tetto. Il bronzo del Dittatore per otto
anni ha dormito vicino all’alveo del Marecchia al sicuro sotto alcuni fasci di
tubi, separato e protetto da pochi palmi di sabbia, fino al disseppellimento
nella primavera del 1951 in attesa di essere collocata, come da delibera 10
aprile stesso anno, accanto all’Arco d’Augusto".
Verissimo. Tant’è
che il Sindaco di Rimini rispondeva come segue, in
data 6 aprile 1951, alla richiesta di notizie del Prefetto sullo stato della statua e il suo
ricollocamento: "Sono lieto di riferirle che la statua di G.
Cesare che nel 1945 venne sepolta in luogo sicuro per sottrarla
all’asportazione da parte alleata, è depositata in locale dell’Azienda
Acquedotto e in buono stato di conservazione. Occorre ripulirla dai detriti e
ossidazioni del seppellimento".
A
questo punto, volendo vederci chiaro, convocai presso il mio studio il Grana e l’Innocenti scoprendo che non vi era alcuna contraddizione tra quanto essi
avevano dichiarato. La sottrazione aveva infatti avuto luogo nel corso di un
‘buco nero’ temporale a partire dal 1951 (disseppellimento autorizzato della
statua dalla ‘fossa dei tubi" all’interno del capannone dei Vigili del Fuoco)
al 1953 (casuale rinvenimento della stessa interrata nel greto del Marecchia).
Fecero seguito alcuni articoli da me pubblicati sull’argomento (Resto del
Carlino, Mondo Libero, Corriere di Rimini, Ariminum).
L’intera
storia venne pure illustrata nella trasmissione televisiva "Service
Club" da me condotta a cura del Rotary Rimini Riviera (VGA
25.5.94), nel corso della quale il Maresciallo Giuseppe Grana indicò sulla foto
aerea, il luogo esatto del ritrovamento (fig.1) a circa cento metri dal
capannone di Via Dario Campana, indicato sulla medesima foto dal P.I. Andrea
Degli Innocenti pure presente in studio cui si deve anche la ricostruzione
grafica del posizionamento della statua ad opera dei Vigili del fuoco. (fig.2).
Il
risultato delle mie ricerche è riportato in "Alea iacta est " (Editrice
Il Ponte Vecchio) dell’archeologa e collaboratrice scientifica del Museo
Comunale Cristina Ravara Montebelli, in "Cronache Malatestiane del Terzo Millennio" (Raffaelli
2001) e in "Federico Fellini, la mia Rimini" (Guaraldi 2003) .
Desidero
precisare, per completezza, che nel numero 3 maggio/giugno 2019 di Ariminum,
elegante rivista culturale cittadina a cura del Rotary, è apparso un servizio
dello studioso locale Avv. Gaetano Rossi che avallando
integralmente i risultati della mia ricerca è incorso peraltro in una inesattezza affermando che la notizia del fortuito
ritrovamento (e conseguentemente dell’intervenuta sottrazione) anziché emergere
quarant’anni dopo, sarebbe divenuta subito di dominio pubblico.
Osservo
altresì che nel suddetto servizio si legge che la sottrazione e sepoltura della
statua ‘in luogo non facilmente identificabile’ sarebbe stato perpetrata, dalla
nuova Amministrazione con il concorso dei Vigili del Fuoco. Non posso
assolutamente condividere quest’ultima affermazione che, sfornita di
qualsivoglia elemento di prova, deve considerarsi alla stregua di semplice illazione.
Alla
quale se ne possono contrapporre altre più plausibili. Innanzitutto non si
comprende come i generosi Pompieri che avevano salvato e custodito la statua
per tanti anni possano essersi resi complici della sua sparizione. Più
probabile invece che, dopo l’annullamento della delibera 10.04.1951 qualcuno si
sia loro presentato a nome dell’Amministrazione Comunale affermando che la
statua (la cui collocazione in Città era stata ormai decisa anche se doveva
ancora stabilirsene il luogo) dovesse nell’attesa essere
allocata nel Museo.
E
a questo punto possono avanzarsi due ipotesi. Quella
del trasporto diretto della statua nel luogo della segreta inumazione, oppure
il suo effettivo, regolare trasferimento al Museo, dal quale altri lo avrebbero
poi sottratto. Ne consegue che il coinvolgimento dell’Amministrazione Comunale
o di qualche suo membro può essere soltanto sospettato stante il suo quarantennale silenzio sulla vicenda e la
successiva avversione palesata nei
confronti del ‘dono del Duce’.
Per
finire. La statua del Condottiero posizionata in Piazza tre Martiri il 15 marzo 1996 è la copia (fatta eseguire dal
Rotary) di quella segregata dal 1953 nella Caserma di Via Flaminia. La quale
statua a sua volta altro non è che una delle tante copie (tratte
dall’originale in marmo di età Traianea posto nei Musei Capitolini) donate da
Mussolini ad altre Città vantanti le nostre stesse origini romane.
Di
conseguenza mi lascia piuttosto perplesso la recente iniziativa di un Comitato
Cittadino intesa, tra tante innumerevoli copie, a
sostituirne una con altra. Non dovrebbero comunque sorgere, ai
fini dello scambio, i problemi politici che hanno caratterizzato le
tragicomiche vicende del monumento essendo ormai lontani i tempi in cui la
Piazza poteva ospitare soltanto un Giulio Cesare donato da privati cittadini.
Giuliano
Bonizzato