L'ENIGMA DEL FARO
21 ottobre 2014
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Il faro di Rimini compie 250 anni, ed è una delle poche certezze, forse l’unica, della quale disponiamo al riguardo. La familiarità con questo monumento è per i riminesi legata a diverse motivazioni. Certo anche il rumore del nautofono che dal 2012 ha smesso di ricordarci la presenza del faro quando la nebbia lo nasconde. Ma le notizie certe sulla fase della costruzione sono incredibilmente scarse. Molto dibattute e contrastate le fasi di avvicinamento al progetto definitivo. Ne abbiamo capito di più dopo la giornata che il Rotary Club Rimini Riviera ha voluto dedicare ai 250 anni del faro in due fasi: prima la visita all’interno, esperienza unica e difficilmente ripetibile, guidati da Vincenzo Colaci, che da oltre vent’anni sorveglia il faro di Rimini, visibile da 15 miglia; poi in serata una lezione del Prof. Giovanni Rimondini, storico dell’architettura.
“Il racconto storico – ha detto Rimondini – assomiglia ad una fetta di formaggio con i buchi. Perché si può parlare del faro a lungo, di ciò che l’ha portato alla realizzazione, ma non è possibile fissare il nome di un padre, fare con certezza il nome del progettista. Allora sembrerebbero addirittura cinque i candidati”.
Prima di arrivarci partiamo da una lunga vicenda fatta di soldi stanziati, mai arrivati, poi in parte spesi per altro rispetto all’oggetto dello stanziamento.
Nel 1735 Papa Clemente XII stanzia diecimila scudi, poi prelevati dal cardinale legato Giulio Alberoni che li spende per costruire due ponti sui fiumi Pisciatello e Fiumicino sulla strada per Ravenna, vicino a
Cesenatico. Soldi che la comunità deve restituire con l’utilizzo delle infrastrutture. Ma prima di tutto questo c’è un lungo tira e molla, i riminesi li pretendono ma la loro fama di prestigiatori nel far sparire scudi dalle casse induce alla prudenza.
Di un faro a Rimini si sente però la necessità, si dibatte molto sulla posizione ma né a Luigi Vanvitelli, forse nemmeno a Giovan Francesco Buonamici, Gaetano Stegani, Filippo Marchionni, o ad un capomastro di cui vedremo, c’è certezza di attribuzione. Anche se un sospetto…
Non è Vanvitelli il progettista perché nelle carte le posizioni non combaciano e anche ragioni stilistiche ne escludono la paternità.
Nemmeno Filippo Marchionni è ipotizzabile, che al massimo è connesso con la piattaforma sulla quale fu innalzata la torre del faro. Anche il linguaggio architettonico dal Marchionni lo esclude. Pare estraneo anche Giovan Francesco Buonamici, perché sostanzialmente pur occupandosi di lavori in zona, muore un anno prima dell’inizio probabile della costruzione.
Escludere Gaetano Stegani, architetto bolognese, è più dura, perché in effetti da incartamenti risulta che sia all’opera in zona, ma dei lavori che sta seguendo non si trovano espliciti riferimenti a pagamenti per interventi sul faro.
Rimane il capomastro Domenico Bazzocchi Pomposi, che aveva diretto i lavori del cantiere della torre dell’orologio (piazza Tre Martiri).
In archivio si parla di lui per interventi analoghi a Pesaro e Fano, al seguito (o per la sua esperienza a guida dei cantieri) del Buonamici. Ma riferimenti certi, nessuno.
Allora, in attesa di studi più approfonditi, magari scartabellando nell’Archivio di Stato Pontificio a Roma, è giusto sospendere il giudizio sull’autore del progetto del faro.
L’unica certezza è che la costruzione termina fra il 1763 e il 1764. Ed è incredibile constatare che mancano documenti che ne attestino l’iter della costruzione. Tanto che Rimondini ipotizza sia una mancanza volontariamente procurata.
E allora, che non valga la pena riaprire le indagini su questa paternità, innestata in una storia fatta di euro (pardon, scudi) dissolti sulla strada da Roma a Rimini, di tasse innalzate per recuperare uno stanziamento comunque parziale, a proposito di una struttura comunque non preziosa sotto l’aspetto architettonico, e del coinvolgimento di qualche celebre progettista che parrebbe ‘colluso’ ma senza prove. Eppure l’amore dei riminesi per il faro si merita un padre, se non altro per associarlo a quel suono intermittente che però ora non c’è più, anche se c’è la promessa che tornerà. Intanto Colaci dentro al faro, quel suono l’ha riprodotto, ma a stretto beneficio di coloro che ci entrano per una visita. Va a finire che con tutti quegli illustri candidati alla paternità, ad occuparsi di tutto è stato il capomastro, che in uno slancio di riservatezza (magari non aveva la firma per il progetto) ha pure fatto sparire le prove…
E in questa condizione di dubbio atroce, non ci dà sollievo sapere che di fari Rimini ne ha avuti altri. Nel ‘300 un faro addirittura malatestiano che è in sostanza il campanile di San Nicolò. O nel ‘600, quando sorgeva sulla chiesa di Sant’Antonio.