Gabriele Bianchini. Noto ingegnere per tutti, poeta e fine dicitore per una cerchia di amici e di estimatori che va sempre più allargandosi. E che ora certamente comprende anche i soci del nostro Club che ieri sera a bordo piscina dello Sporting Hotel hanno potuto godere della sua straordinaria performance, subissandolo d'applausi e di richieste di “bis”.
I Canti di Francesca da Rimini, Ulisse, Guido di Montefeltro, Sordello, San Francesco in dialetto riminese. Quante volte li ho ascoltati, affascinato dalla viva voce di Gabriele. Quante volte ho insistito con lui, negli anni, perché quei versi suggestivi non andassero dispersi, sentendomi rispondere che il nostro vernacolo è fatto soltanto per essere espresso a voce, col cuore, con i gesti. -“Guardami! Non trovi in me, grande e grosso come sono, una certa somiglianza con l’Obelix dei fumetti di Uderzo ? Beh lui è un celta, un “gallo” per dirla con gli antichi Romani. E i Celti scrivevano molto raramente, affidavano la loro cultura alla tradizione orale. Il nostro dialetto è di origine celtica. Ed io la penso come loro.Tira tu le somme!”
OK. Proseguendo il paragone celtico, se Gabriele ha in comune con Obelix il fisico potente, il cervello (acuto e smaliziato) è indubbiamente quello di Asterix. E siccome “verba volant” e la memoria ha ormai fatto il suo tempo sostituita da Google negli smart-phone “La Cumedia”, col patrocinio della Provincia e del Comune di Rimini e a cura della Associazione Ar Emni, ha, finalmente, visto la luce, per la gioia di tutti coloro che amano il proprio “lessico familiare” e desiderano conservarlo nella propria libreria.
Una “Cumedia”, questa di Gabriele, che, perdendo nel titolo l’ attributo di “Divina”, si rivela, in compenso, molto, molto “umana”. Il che avviene - come ha fatto notare acutamente Ennio Grassi docente di Letteratura italiana e Sociologia della Letteratura, ospite della serata e autore della dotta prefazione al libro - quando c’è chi riesce a far scendere il Sommo Poeta dal piedistallo dove è stato fatto salire dai pedanti commentatori che hanno rattristato i nostri studi liceali, cogliendo invece il suo spirito popolare. “Traducendolo” nel senso etimologico di trans-durre, il che è a dire trasportandolo nel proprio universo culturale. Il successo mediatico di un comico come Roberto Benigni lo dimostra ampiamente.
E la “traduzione” (sia letterale che sotto forma di parafrasi ) in dialetto romagnolo si presta benissimo a questo scopo. Ma attenzione! Per poter “rendere” Dante in riminese, rispettandone sia pure a grandi linee, la complessità, occorre essere dotati di una particolare ricchezza linguistica dialettale ed è sotto questo aspetto che Gabriele, ha dato prova di raggiungere effetti comunicativi straordinari, destando soprattutto la nostra ammirazione ( nell’inevitabile confronto con gli altri autori vernacolari che si sono cimentati nell’impresa) per la perfezione stilistica degli endecasillabi, delle terzine, della rime mai banali o forzate, in altre parole per la sua profonda “cultura” poetica. Una cultura che, vestendo consapevolmente i panni del popolano che fa il verso al Signore, ci svela il segreto dell’umorismo, che consiste appunto nel conciliare gli opposti convertendo la “tensione” in “distensione”.
Si prenda ad esempio l’incontro fatale di Paolo e Francesca.
“Piò volti, lezend ad che baligot
avem santì t’è cor un non so chè
mo s’una fresa a sem caschè ad bot:
quand avem let che lo u la i basè
as sem custrét a fe ugualmènt
Pevul l’ha cminz, e me pò a i sò stè.”
Scommetto che anche Dante, dalla sua nuvoletta, ha sorriso, di fronte a quello stupendo “a i so stè”… Oppure sentendo l’Ulisse Romagnolo trasformare il famoso “Fatto non foste a viver come bruti” in “a n si stè fat per ess di mamalùn”...
Grazie Gabriele.
Un forte abbraccio da parte di tutti noi.
Giuliano Bonizzato