IL PREZZO DELLA COMPETIZIONE

07 febbraio 2012   00:00  

La passione per il lavoro, la voglia di mettersi in discussione e soprattutto il contrasto dell’individualismo. Adriano Aureli ci ha intrattenuti a partire dalla sua esperienza alla guida di SCM, una delle aziende più importanti al mondo nel settore della produzione delle macchine per la lavorazione del legno, per poi spaziare su come una grande azienda resta tale in un panorama competitivo allargatosi clamorosamente a tutte le latitudini.
“La tensione alla internazionalizzazione e all’innovazione – ha aperto Adriano – l’abbiamo sempre avuta in azienda, fin dalla fine degli anni ’50. Restano due fattori decisivi anche oggi, inoltre bisogna sempre guardarsi attorno, e poi imparare, aggregare, reingegnerizzare, ottimizzare, efficientare…”
L’idea che ci ha trasmesso Adriano Aureli è che oggi fare l’imprenditore sia molto più complicato di un tempo. I concorrenti, i competitor, agiscono in contesti differenti, arrivano sul mercato prodotti da ogni latitudine, de localizzare la produzione è diventato un criterio determinante da valutare in ogni industria.
“Dobbiamo capire tutti che andiamo verso un modello di produzione dal quale il prodotto che scaturisce deve essere più performante, meno costoso, più ecocompatibile. Fare conciliare tutto ciò, senza innovare, è impossibile. I cervelli vanno integrati fra loro, non possono più esistere centri di progettazione separati, addirittura con fare rivoluzionario qualcuno propone di far convivere progettisti di aziende concorrenti fra loro”.
Temi di grande attualità, come lo è la presenza sul mercato di nuovi attori, quelli che sotto il marchio BRICS identificano realtà in costante crescita: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica.
“Sono però realtà diverse. In Sudamerica è possibile fare progetti di delocalizzazione di qualità in presenza di mercati in espansione. La Cina in particolare è una realtà che vedo destinata ad affrontare a breve termine grosse difficoltà. I salari aumentano, le tensioni sindacali si affacciano, la qualità non cresce e poi c’è il grande tema della sostenibilità ambientale di ciò che producono e di come lo producono. Non appena si moltiplicheranno barriere d’ingresso a prodotti che non rispettano l’ambiente nel loro ciclo di vita, dalla progettazione allo smaltimento, i problemi per i cinesi aumenteranno. Certo, hanno un grande bacino di domanda, ma la disponibilità economica non è ancora diffusa a sufficienza”.
Adriano Aureli è ottimista per natura, ama andar per mare e quindi sa scrutare l’orizzonte per cercare con cura un approdo.
“Noi abbiamo un vantaggio competitivo assoluto, che è il know how, l’alta tecnologia, affidabilità, l’esperienza, l’efficienza ed altro. Dobbiamo mantenerlo a suon di innovazione. Ricordo che negli anni ’70 un giapponese volle comprare una nostra macchina, la smontò per capire e poi la rimontò, rinunciando a produrla perché non in grado di sostenerne gli standard qualitativi. Ecco, deve continuare ad accadere questo. E poi non si deve temere di lavorare insieme, le aziende devono aggregarsi, non possono pensare di aggredire mercati esteri in solitudine. Noi in SCM siamo passati nel 2009 da 18 aziende a 4 divisiioni, abbiamo centralizzato e concentrato i servizi alle imprese, siamo arrivati a tre grandi centri produttivi, senza dispersioni. E’ un processo inevitabile se si vuol competere”.
A dar man forte al pensiero di Adriano Aureli sul ‘fattore Cina’, l’intervento di Demis Diotallevi: “I cinesi sono preoccupati, non sempre chi deve avere i soldi sta meglio di chi deve darli (il debito pubblico americano’ se teme di non poterli avere o a prezzo di una svalutazione americana pericolosissima per i cinesi. E poi la crescita a doppia cifra non è sostenibile a lungo, si finisce come una Ferrari a 300 all’ora contro un muro; infine se in Cina cominciano a spostare fabbriche da 10.000 operai di 800 km per passare da una regione dove lo stipendio è di 1250 dollari l’anno, ad un’altra dove è possibile farlo scendere di 100 dollari, vuol dire da una parte che ancora possono permettersi di fare cose che altrove sarebbero impensabili, ma che hanno il fiato corto…”

 

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