IL CASO CARTESIO

26 luglio 2011   20:00  
Conviviale con signore
Relatori Daniele Bondi

No. Cartesio non è morto a causa di una polmonite fulminante l’11 febbraio del 1650, a meno di 54 anni. La polmonite è l'ipotesi più accreditata, quella che si legge sui documenti ufficiali, ma più d’uno nutre dei dubbi. Uno di questi è Daniele Bondi, modenese con una laurea in economia e commercio e poi un’altra in filosofia, più consona quest’ultima agli interessi di un giovane scrittore di successo che alterna la scrittura di racconti a quella di giornalista in testate emiliane.
Il Caso Cartesio è un romanzo. Per scriverlo sono stati necessari cinque anni di ricerche e poco dopo la pubblicazione da Rusconi ha già vinto premi letterari di rilievo.
Il libro, un thriller storico che s’intreccia intorno alla vita – principalmente intorno agli ultimi venti giorni di vita - del filosofo Renatus Cartesius, è anche il tentativo di riportare all’attenzione generale una questione decisiva per ristabilire la verità storica sulla morte di Cartesio. L’obiettivo è infatti quello di indurre il Museo de l’Homme di Parigi a consegnare un frammento del teschio del pensatore agli scienziati, affinché sia possibile (grazie alle tecniche moderne) stabilire se invece della polmonite non sia stata una dose di arsenico a spedirlo al Creatore. Il problema è che il Museo non solo non concede il reperto, ma rifiuta persino di rispondere alla richiesta. E il libro romanza anche un tentativo di rubare quel teschio che 260 anni dopo dovrebbe dire la verità.
La tesi della polmonite è quella condivisa, resta valida finché non viene alla luce una lettera del medico curante nella quale si elencano una serie di situazioni che si verificarono negli ultimi giorni di vita di Cartesio, tutte riconducibili all’avvelenamento da arsenico.
“Potrebbe – ha detto Bondi – essergli stata fatale una comunione ricevuta 11 giorni prima della morte. Forse l’ostia era intinta nell’arsenico. Un complotto, si pensa ora, coordinato da Van Wallen. L’ipotesi di un assassinio di Cartesio ad opera del fanatico padre Viogué si baserebbe sul fatto che questi vedeva nell'insegnamento cartesiano un ideale razionalista che avrebbe portato alla conversione della regina Cristina ad un cattolicesimo molto diverso da quello professato dal padre agostiniano”.
Di nemici, Cartesio, ne aveva a bizzeffe: in Olanda, in Svezia. Tanto da essere accusato di blasfemia, ateismo, pelagianesimo.
Cartesio affermava che l’uomo ha una volontà infinita e può definire la sua salvezza. Alla base c’è il dubbio, prerequisito per arrivare al certo. Un dubbio metodico, nel quale la ragione prevale sui sensi fino a dimostrare l’esistenza di Dio. Dubium sapientiae initium, il dubbio è l’origine della saggezza. Qui c’è tutto Cartesio. Per il pensatore, basilare della verità è l'evidenza, ciò che appare semplicemente e indiscutibilmente certo, mediante l'intuito. Il problema nasce nell'individuazione dell'evidenza, che si traduce nella ricerca di ciò che non può essere soggetto al dubbio. L'unica certezza che resta all'uomo è che, per lo meno, dubitando, l'uomo è sicuro di esistere. L'uomo riscopre la sua esistenza nell'esercizio del dubbio. Cogito ergo sum: dal momento che è propria dell'uomo la facoltà di dubitare, l'uomo esiste. L’uomo è, non ha, il pensiero.
Il libro, però, gioca un po’ sulla vicenda e costruisce tre storie che s’intrecciano fra loro, individuando anche la corrente di appartenenza dei mandanti dell’avvelenamento di Cartesio. Il quale, va ricordato, ebbe un ruolo decisivo nella conversione al cattolicesimo della Regina Cristina di Svezia, un successo storico della Chiesa di Roma. Vabbè, basta così. Per saperne di più bisogna leggersi le 480 pagine del libro.
Infine un caloroso ringraziamento ad Alessandro Bacci, grazie al quale spesso sono possibili serate come quella di ieri sera, davvero interessante ed istruttiva.

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