ECONOMIA E BANCHE, IL PENSIERO DI ANTONIO PATUELLI
Conviviale con signore
Interclub
La relazione di Antonio Patuelli, presidente di ABI e della Cassa di Risparmio di Ravenna ha attirato e non delusA l’attenzione della comunità economica riminese nella serata in interclub fra Rotary Rimini e Rimini Riviera.
Patuelli ha letto l’attualità del nostro Paese con l’occhiale dell’osservatore privilegiato ed ha fissato la motivazione principale della lunga e profonda crisi economica che attraversa l’Italia nei comportamenti adottati prima che scoppiassero gli scandali finanziari oltre oceano.
“Abbiamo vissuto almeno un decennio comodo – ha detto Patuelli – connotato da rendimenti dei titoli pubblici elevati, da un’inflazione manovrata nell’interesse di quella stessa comodità e nel frattempo il debito pubblico continuava a crescere. Certo, la crisi nasce nei paesi anglosassoni, quelli additati ad esempio per il loro sistema bancario così capace di produrre profitti rispetto al nostro, che invece si muoveva sul terreno della cautela. Tali rimproveri provenivano anche dall’autorevole quotidiano economico italiano. Ebbene, vi ricordo che in quei Paesi lo Stato è intervenuto direttamente per salvare le banche, almeno 40 in Gran Bretagna, almeno 200 negli Stati Uniti. In Italia lo Stato è intervenuto su 4 banche, prestando soldi al 10% che ‘comprava al 4%”.
Patuelli ha puntato continuamente il dito sui danni prodotti dalla crescita smisurata del debito pubblico: “Oggi vale più dei debiti che hanno tutte le famiglie e tutte le imprese italiane con le banche, circa 2150 miliardi di euro, che fa un effetto diverso come impatto rispetto alla percentuale del 130% del PIL. Quando con le privatizzazioni s’è provato ad abbatterlo, i proventi sono invece stati usati nella spesa corrente”.
E allora qual è la bussola per cercare una via d’uscita? Patuelli non ha voluto dare ricette – “Sono qui come agricoltore, amico di Rimini, e vi ricordo della mia casetta a Viserbella acquistata dalla mia famiglia nel 1928” – ma utilizzando il riferimento della legge elettorale ha comunque fatto intendere il suo pensiero.
“Sostanzialmente sono tre i sistemi che funzionano: quello a turno unico americano, quello a doppio turno francese e quello meno di successo che è il proporzionale. Ecco, invece di sceglierne uno e di perseguirlo compiutamente, l’Italia si inventa strade proprie, che in dottrina non esistono, ficcandoci regolarmente nei guai. Il nostro è un Paese nel quale prevalgono gli umori sulla ragione, che invece deve essere nitida per affrontare le difficoltà. Predicare l’uscita dall’euro è quindi un errore enorme, è impossibile, precipiteremmo a livelli sudamericani. La ripresa si sta profilando, non sarà certo rigogliosa, ma dobbiamo agganciarla e diventare un Paese nel quale domina il linguaggio della verità, non della comodità, utilizzando certezze e a me piace dire che per la democrazia servono le regole precise della contabilità”.
Le domande hanno poi portato Antonio Patuelli – che s’è mantenuto neutro dall’intervento nello specifico, ma lasciando intendere il suo parere, peraltro non nuovo - a qualche riflessione sulla situazione locale, in particolare sulla dimensione che una banca deve avere per mantenere competitività, oggi e nel medio termine. Argomento di strettissima attualità dopo le voci di possibile fusione fra Carim e Cassa di Risparmio di Cesena.
“Le nostre banche hanno una tradizione strettamente connessa col territorio, hanno sempre e solo avuto soldi dalla gente di questa terra, sia quando furono fondate che quando sono state ricapitalizzate. E’ una natura diversa e distintiva. Le grandi difficoltà per le banche italiane non riguardano le dimensioni. Abbiamo visto la crisi di una grande banca di una piccola città, ma anche situazioni diverse e contrarie. Sono le intelligenze che sopperiscono alle dimensioni. Io ad esempio vorrei davvero avere una banca come il mio amico genovese Passadori, 16 sportelli e milioni di utile a fine anno. Leggerete sui giornali della vendita a caro prezzo di Bonifiche Ferraresi, impresa agricola confinante con la mia e molto più ampia nelle dimensioni, ma con rendimenti ‘agricoli’ molto inferiori…
Credo al primato dell’intelligenza, certo con la capacità di leggere il tempo che si vive. Io non ho più trattori come 50 anni fa, i fattori produttivi sono plurali, il torchio per spremere le vinacce non è di mia proprietà, lo condivido. Ora l’organizzazione industriale governa l’impresa che funziona a dovere. Per tornare alle banche, guardo con favore alla capacità di interloquire singolarmente coi clienti, con la cultura di chi conosce ogni segmento produttivo dell’impresa a cui si prestano i soldi. Siamo alle prese, come sistema bancario, con una ricapitalizzazione straordinaria, pari a 10 miliardi di euro, potenzialmente capace di essere volano per prestiti otto volte superiori. Capite che occasione abbiamo davanti?
In definitiva, credo che efficienza e tecnologia, le carte vincenti, non abbiano una specificità che guarda alla dimensione, piuttosto è necessario differenziarsi per non omologarsi nel prodotto che si rende disponibile. Questa è la carta vincente. E chiudo con un plauso al sistema locale, ben lontano da scandali che vediamo altrove, dove il profilo del reato penale non ha trovato terreno fertile. Basta guardare in giro per l’Italia per scorgere chiare differenze. In Romagna abbiamo la forza e la competenze per essere ancora protagonisti”.