CON LE BUDELLA DELL'ULTIMO PRETE.. RIMINI DA NAPOLEONE A GARIBALDI..
05 marzo 2012
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Celebre la frase rivolta da Luigi Carlo Farini a Vittorio Emanuele II allorchè, nel quadro del nuovo ordine amministrativo, si trattò di stabilire e delimitare le Regioni : “Occorre stemperare il rivoluzionarismo dei Romagnoli nel moderatismo degli ex Ducati (Modena Parma e Piacenza n.d.r.) e delle ex legazioni pontificie di Bologna e Ferrara!” E aveva, dal suo punto di vista di Ministro dell’Interno (e di Romagnolo naturalizzato piemontese che conosceva i suoi polli) perfettamente ragione .
La Romagna infatti a differenza delle altre Regioni sottoposte al potere del Papa, rappresentò negli anni che vanno dal 1821 al 1849, una vera polveriera. Quando ero un giovane Universitario credevo che la canzonacce “ Bruceremo le chiese e gli altari- bruceremo i palazzi e le regge- con le budella dell’ultimo prete-impiccheremo l’ultimo Re” così come “Il Vaticano brucerà -il Vaticano brucerà con dentro il Papa- e se il governo non vorrà, rivoluzione” fossero innocue creazioni di qualche goliardo mangiapreti. Diversi anni dopo mi resi invece conto che si trattava di veri inni rivoluzionari prodotti, in quel periodo storico, dal turbolento ribellismo romagnolo e che i propositi incendiari e forcaioli ivi contenuti erano veramente preoccupanti. Nel 1849, dopo la proclamazione della Repubblica Romana e la fuga del Papa a Gaeta, i fautori della Romagna laica si erano talmente “ingasati”, che perfino un “uomo d’ordine” come il Presidente del Circolo Popolare Riminese e Capitano della locale Guardia Civica Ing. Francesco Galli giunse a far affiggere significativi manifesti a stampa in cui si leggeva testualmente “essere meglio mangiarsi i propri figli come pane che tornare sotto l’infame governo del prete”. E si trattava del medesimo Francesco Galli che non riuscì, poi, a trattenere gli uomini dei quali era al comando, quando il parroco di Ciola Corniale Don Tommaso Legni, “nemicissimo dei liberali e amante dell’ordine costituito”, venne da loro barbaramente ucciso a colpi di fucile mentre si trovava custodito presso la Caserma dei Carabinieri di Santarcangelo, dopo essere stato arrestato nella sua Chiesa come uno dei capi della controrivoluzione. Naturalmente sia gli assassini che il Capitano, accusato di correità., (tutti riminesi) vennero processati dopo la caduta della Repubblica Romana dal Tribunale della Sacra Consulta competente per i reati contro il clero. Eugenio Lucchini e Giuseppe Antolini, rispettivamente di 23 e 25 anni, vennero condannati a morte mediante decapitazione, eseguita nel cortile delle Carceri di Forlì. Ciro Zaoli,minore di diciotto anni al momento dei fatti si beccò vent’anni. Il Capitano -pur autore del libello succitato che non deponeva certo a suo favore – se la cavò per il rotto della cuffia.. Al dottor Rocco Rocchi –che, chiamato a prestar soccorso al prete che si era sentito male subito dopo essere stato arrestato nella sua parrocchia, non solo si era rifiutato di assisterlo, ma aveva estratto una pistola minacciando d’ucciderlo- (!) venne inibito per sempre l’esercizio della professione.
Traggo queste notizie da uno degli innumerevoli fatti di cronaca, narrati dallo storico riminese Arturo Menghi Sartorio nel suo “Risorgimento senza retorica” (Il Cerchio), ultima perla della sua ricca collana di testi che hanno quale tema il periodo storico vissuto dalla Romagna dai primi dell’ottocento all’unità d’Italia. Rimini e la Romagna da Napoleone a Garibaldi (sottotitolo del volume) prendono vita questa volta attraverso le biografie dei protagonisti i cui nomi sono in gran parte presenti nella toponomastica della nostra Città. Riviviamo così, attraverso le vite di quattordici grandi personaggi per lo più riminesi, sia le imprese dei legittimisti papalini, che dei cospiratori anti-regime, con relativi agguati, ferimenti e ammazzamenti. purtroppo sempre all’ordine del giorno in quel ribollente periodo di storia locale. Emerge dalla serena analisi dell’Autore, condotta attraverso preziosi documenti d’epoca, la tendenza tutta romagnola (al di là di certa retorica risorgimentale) a sottrarsi violentemente sia al regime napoleonico che a quello del Papa e del Re, in favore dell’indipendenza Municipale. Il che spiega anche perché, fatta l’Italia… si affrettarono a disfare la Romagna.
Gibo Bonizzato