SCOOP CHE SI PERDONO NEL TEMPO COME LACRIME NELLA PIOGGIA

03 maggio 2016   00:00  

Dopo la scorsa Cronaca Malatestiana pubblicata dalla Voce di Romagna, dedicata alle statue di Tiberio e di Augusto uscite finalmente dalle cantine del Museo a distanza di quindici anni dalla donazione di Roberto Valducci, ho dovuto constatare, dalle numerose mail ricevute, che molti miei lettori non avevano mai sentito parlare della “doppia sepoltura” di quella di Giulio Cesare. Lo confesso. Mi sono sentito come il Replicante di Blade Runner: “Ho visto cose che voi umani non potete immaginare…e tutto andrà perduto nel tempo come lacrime nella pioggia”. Per cui ad evitare tale eventualità, mi vedo costretto a “replicare” anch’io. L’avevo fatto in maniera molto sintetica e scherzosa alcuni anni fa, ma visto che l’equivoco permane seguirò, stavolta, un rigoroso criterio storico. Partiamo dall’inizio. Sul Resto del Carlino, in data 6 maggio 1992, apparve un mio articolo dal titolo “Ridateci la Statua di Cesare” nel quale avanzavo, a nome del Comitato di Cittadini all’uopo costituitosi, richiesta di restituzione alla Città del Monumento (considerato ormai “usucapito” dagli Artiglieri) come da “Nulla Osta” del Ministero della Difesa finalmente in mio possesso. Naturalmente a sostegno del buon diritto degli istanti, mi riportavo alla versione ufficiale che, a quanto pare, resiste ancora imperterrita nella memoria collettiva. Secondo tale appagante versione i Vigili del Fuoco, nel 1945 seppellirono segretamente la statua, all’aperto, nel greto del Marecchia per evitare fosse fatta a pezzi quale sgradito ricordo mussoliniano, per poi disseppellirla sei anni dopo- quanto gli animi erano tornati abbastanza sereni - con “temporaneo affidamento” al 121° Reggimento Artiglieria da Campagna sita in Rimini Via Flaminia, da parte del Comune, come da relativa delibera… Bene. Il mio appello provocò una duplice, e storicamente salutare, reazione. -“Macchè disseppellimento e affidamento ufficiale!-dichiarò infatti, in sintesi, il Maresciallo in pensione Giuseppe Grana il giorno successivo, al giornalista Giovanni Zangoli del Carlino. “La statua la trovai io, per caso, quando ero un giovane sergente, alla fine del mese di giugno del 1953, sepolta ottanta centimetri sotto il piano di campagna in mezzo a ben sette ordigni bellici che richiesero l’intervento degli artificieri, anche per quanto riguarda la testa della statua, scambiata inizialmente per una bomba! Ero stato mandato lì a prelevare ghiaia dal Colonnello Veneziani per riempire una buca che si era formata nella caserma della Via Flaminia…Dopo il rinvenimento della statua chiamai il Colonnello il quale a sua volta si rivolse all’Amministrazione Comunale. Intervenne sul posto in bicicletta un tizio alto, sui sessant’anni, il quale gridò: - Accidenti! L’avete ritrovata! Adesso fatene quel che volete! Portatela via, oppure fondetela, distruggetela ma levatecela di torno una volta per tutte! E noi ce la siamo portata in Caserma! “. La seconda reazione si materializzò sul Resto del Carlino dell’8.05.92 con una lettera del Perito Industriale Andrea Degli Innocenti, figlio di uno dei bravi pompieri che avevano effettivamente salvato la statua dal picconamento ideologico, il quale affermò che la versione del Grana circa il ritrovamento tra le bombe inesplose nel greto del Marecchia del monumento, gli appariva davvero incredibile. Ciò in quanto i Vigili del Fuoco, che a quel tempo erano anche dipendenti dell’Acquedotto, avevano, è vero, sotterrato il Condottiero nel 1945 ma all’interno di uno dei tre capannoni con fondo in terra battuta dell’acquedotto Comunale, vicino all’alveo del Marecchia, nella fossa dove a quel tempo si tenevano stoccati i tubi. E qui la statua aveva dormito per sei anni fino al suo disseppellimento avvenuto nella primavera del 1951, in attesa di essere collocata, giusta delibera del 10 aprile stesso anno, accanto all’Arco d’Augusto. I due testimoni, da me convocati in studio e posti a confronto, ribadirono le loro versioni, che risultarono perfettamente compatibili, stante l’esistenza di un incredibile vuoto informativo, (dalla primavera del 1951 al giugno 1953) circa l’effettiva ubicazione della effige dopo l’inattuata delibera. La veridica storia oltre che sulla stampa nazionale e locale, venne da me illustrata nella trasmissione televisiva “Service Club” condotta a cura del Rotary Rimini Riviera (VGA 25.5.94), nel corso della quale il Maresciallo Grana indicò (su una foto aerea d’epoca) il luogo esatto del ritrovamento e il P.I. Degli Innocenti identificò, a cento metri circa, di distanza, il capannone della prima sepoltura, corredando il tutto con un eloquente disegnino. Per fortuna a valorizzare le statue romane tirandole fuori dalle cantine ci pensa ora il Senatus Populusque Gnassianus. Ne è passata di acqua sotto il Ponte di Tiberio. Giuliano Bonizzato

Giuliano Bonizzato

 

 

 

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