LA PAX AUGUSTEA

09 dicembre 2014   00:00  

“E’ il più grande politico dell’Occidente di tutti i tempi”. Ci mette poco Giovanni Brizzi, storico di rilievo internazionale, a definire Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, imperatore romano morto duemila anni fa dopo aver rappresentato un tratto di profonda discontinuità rispetto al predecessore Giulio Cesare. “C’è la differenza che passa fra un generale sudamericano e un raffinato statista che potrei paragonare a Klemens von Metternich per la capacità di leggere la realtà ma è comunque un paragone limitato ad un aspetto”.

Totale, infatti, la capacità di Augusto, asceso al trono a 19 anni e capace di imprimere il suo timbro – l’età Augustea – ad un tempo nel quale vissero i più straordinari scrittori e poeti della letteratura romana, quali Virgilio, Orazio, Ovidio e Livio.
Augusto fu capace di tacitare sanguinose guerre civili, per poi assicurare pace e prosperità. Proprio questa ‘pax’ Giovanni Brizzi l’ha definita con una lettura inaspettata, una pax che si può comprendere solo se associata al pactum (che ha proprio la stessa radice di pax) tra il popolo romano e le sue divinità, di cui Augusto si fece restauratore, dopo aver compreso e spiegato che un peccato aveva reso inviso l’Impero agli dei. Il sacrilego gesto compiuto dall’enciclopedista e politico latino Valerio Sorano fu compiuto al tempo dello scontro tra Silla e i seguaci di Mario, svelando il nomen segreto di Roma, rigorosamente celato. Sorano aveva reso vulnerabile l’Urbe, esponendola al rischio di essere espugnata; e aveva commesso un sacrilegio gravissimo, spezzando il vincolo privilegiato tra gli dèi e Roma stessa, condannata ad esser più volte preda, non di nemici in fondo senza virtù, ma dei suoi stessi eserciti.
Augusto ristabilì l’alleanza con gli dei, sforzandosi di offrire una riposta nuova, la sua propaganda.
Augusto rese il potere legittimo, spiegò ai romani che erano giustificati gli strumenti di potere e non si limitò ad utilizzarli in modo impositivo. L’imperatore per eccellenza.
Per spiegare la pax augustea, Brizzi ha fatto cenno alla pax americana, paragonando il giovane Ottaviano al giovane Michael Corleone de Il padrino. Il cittadino romano affascinante come l'american way of life. Un mito, quello di Augusto, nato già ai suoi tempi e perpetuato per venti secoli.
“Augusto è uomo di molteplici talenti – ha detto il Prof. Brizzi – e con l’arco di Rimini volle idealmente aprire alla conquista della piana del Po, mentre fin lì Rimini era posizione chiusa a protezione dell’Impero ed un arco non aveva senso”.
 
Prima della relazione di Giovanni Brizzi, la consorte Valeria Cicala, funzionario ai Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, aveva intrattenuto sul ricordo di Giancarlo Susini, archeologo, storico, epigrafista, uomo capace di leggere e interpretare l’antichità, nonché amico di Rimini col suo ruolo decisivo all’origine del Museo della Città.
In un suo scritto Susini nel 1990 scrisse: Rimini fu una capitale anche ventitre secoli fa, quando i romani fondarono alla foce del Marecchia una specie di repubblica latina, un boccaporto in Adriatico e verso l’Europa e i paesi dell’Est; come Zanzibar e Calcutta per gli inglesi nell’Evo moderno, o Nuova Amsterdam, poi divenuta New York per gli olandesi e gli inglesi di là dall’Atlantico.
Valeria Cicala ha ricordato Susini come di uno storico che ha innovato lo studio dell’antichità, un sommo epigrafista, lettore di pietre, quelle riminesi in particolare.
 
 

MULTI-ROTARY - Distretto 2072